Degustazione sull'altopiano del Carso
Provincia di Trieste
STORIA dell'OSMIZA
L’usanza è molto antica, può farsi risalire all'epoca di Carlo Magno quando l'Istria e Tergeste vennero abbandonate dai bizantini ed entrarono a far parte del Regno franco.
Un'ordinanza di Carlo Magno concedeva a tutti i viticoltori dell'Impero il diritto di vendere direttamente il loro vino segnalando tale attività con l'esposizione di una frasca (un tralcio di edera). Diversi documenti attestano l'esistenza delle osmize in periodo medioevale. Uno, del 1430, riporta come i contadini di Prosecco sostenessero che il loro vino sfuso venduto sul posto fosse esente da dazi.
L'antica usanza fu quindi restaurata, ristabilendone un preesistente radicato diritto, con un decreto del 1784 emanato da Giuseppe II d’Asburgo.
Il decreto permetteva agli agricoltori di vendere vino sfuso prodotto in casa, esente da dazi, per un periodo di otto giorni.

II termine osmiza (in sloveno osmica ) viene da osem che significa “otto” e indicava la durata della concessione del periodo di apertura, di otto giorni appunto. L’osmiza in tali casi doveva essere indicata con una frasca in bella vista lungo la strada e sulla casa, pena la confisca.
Ancor oggi, a turno, i contadini dell'altopiano triestino aprono le loro cantine e appendono delle frasche nelle vicinanze in modo da guidare gli avventori alle loro case. Il periodo di apertura può essere superiore agli otto giorni e viene calcolato sulla base della quantità di vino prodotto. La scelta del periodo è a discrezione dei contadini.